Da Fra’ Marco Galdini, di Cremona, abbiamo ricevuto questa riflessione in occasione dell’anniversario della scomparsa di Padre Giuseppe Pirola, S.J., professore di filosofia morale presso l’Aloysianum di Padova.
Lo pubblichiamo in ricordo dell’alto esempio e insegnamento che ci ha dato con la vita e con il sacerdozio.
Un sito internet riporta un’ omelia di padre Giuseppe Pirola, riguardo ai 10 lebbrosi guariti. E affermava P. Giuseppe: “Togliamo subito di mezzo una lettura sbagliata del racconto, e in particolare del senso della sorpresa e della domanda del Signore al lebbroso guarito. Gesù è sorpreso non perché solo uno gli è stato riconoscente, e gli altri nove no. Interpretare così il racconto significa ridurre Gesù alla nostre dimensioni, cioè alle nostre aspettative psicologiche, al nostro modo di essere, umano troppo umano”.
Ecco P. Giuseppe non hai mai atteso il grazie delle persone, e tanto meno ha mai ridotto l’ annuncio del Signore Gesù alla sua sola comprensione! Per quanto devo ancora dirgli il mio grazie, e sinceramente so che dal Cielo mi sente!
Questo mio modo di pensare non gli era congeniale: al secondo ringraziamento iniziava a schermirsi! E intimava: “smettila!”
Ad un anno dalla data del Suo raggiungimento della meta, del fine della buona corsa, so che la sua Persona sarà ricordata a Padova, ma anche io desidero ricordarlo. Lo ricordo ogni giorno nella mia preghiera per i defunti che mi sono stati cari, nei miei Requiem, e così tutti coloro che lo hanno conosciuto – e che rammentano la data della nascita all’ Eternità – lo ricorderanno in questi giorni!
Che dire di P. Giuseppe!? Qualcuno vorrà ricordarlo come degnissimo Figlio di sant’ Ignazio, qualche altro come insegnate, altri come filosofo! Per me è un grande della fede e del pensiero cristiano!
Senza offesa, mi sia concesso dire che P. Giuseppe forse amerebbe essere ricordato come un “buon parroco di campagna”!
Non per sminuirlo, ma per dare luce alla Sua figura questo potrebbe essere un buon paragone. E P. Giuseppe – credo – sarebbe felice.
Si, perché il “buon parroco di campagna” è quella persona che ha saputo dare a Dio i dieci talenti che ha ricevuto raddoppiati! Così P. Giuseppe!
È stato buono: con tutti, mai è stato caustico, con nessuno, neppure coloro che anche l’ avevano in qualche modo ferito hanno sofferto per la Sua reazione! O se non lo aveva compreso, o se avevano sminuito il suo dire o il suo fare… Padre Pirola continuava – indefessamente – a seminare a costruire per il Regno di Dio!
È stato un “buon parroco di campagna” ? possiamo dirlo con riverenza? Io credo che sia non solo possibile, ma lecito affermarlo, per ricordarlo con sincerità!
Certo, con qualche necessaria glossa! Avrebbe detto Lui, con un’ ermeneutica corretta!
È stato come “buon parroco di campagna” con certe persone che la società aveva – anche giustamente – giudicato pericolose. Oltrepassava le porte delle carceri per cercare di portare a Dio persone che – con fatti cruenti e ideologie atee – avevano ricusato Dio. Rispondeva anche agli appelli di certi intellettuali che avevano escluso il vocabolo “Dio” dal loro lessico, per portare loro la Sua prospettiva di vita, segnata dal motto della Compagnia: “Ad maiorem Dei gloriam”! E con la sua fragorosa risata diceva: “son conciati male se devono chiamare un gesuita per sentirsi dire la verità!”
È stato come “buon parroco di campagna” per l generosità con cui si spendeva – come se null’ altro avesse da fare – quando predicava gli Esercizi ignaziani per sole due persone, dedicando loro alcune ore al giorno, e… per un mese.
È stato come “buon parroco di campagna” quando l’ estate sostituiva in sacerdote per dargli la possibilità di riposarsi, senza temere di lasciare libri e articoli, per confessare e celebrare sacramenti.
È stato come “buon parroco di campagna” quando per noi – e per le persone che frequentavano le nostre chiese – rendeva facilmente comprensibile ciò che era difficile – o arduo ad essere accettato – di Dio aveva chiesto. E come un “buon parroco di campagna” sapeva sempre indirizzare alla speranza: dopo l’ inverno ecco annunciata al primavere.
È stato come un “buon parroco di campagna” quando nel Varesotto, in Val Cuvia, o nelle valli bergamasche, andava a predicare i quaresimali: per tutti, senza trionfalismi, Lui che poteva – giustamente e umanamente io dico – poteva attendersi anche un uditorio “culturalmente” migliore! È stato come un “buon parroco di campagna” quando nella sua docenza – in sedi illustri della Compagnia, e nei meno illustri seminari del contado italiano, o delle missioni africane – sapeva pazientemente parlare di metafisica, ammonendo: “Non si fa metafisica con la poesia, né dogmatica con i canti di Chiesa! Gira la frittata!” Era chiaro, lapalissiano, e nessuno poteva contraddirlo! Era come “buon parroco di campagna” quando si interessava di un singolo caso di povertà materiale o spirituale, affidando appellandosi a chi poteva provvedere, perché sempre Padre Giuseppe ha reso luminoso il volto della fede – “acculturata” o popolare – mostrando interesse per ciascuno: un interesse personale, riflesso di una sensibilità e di una conoscenza umana diretta!
È stato come “buon parroco di campagna” quando si faceva carico di lunghi viaggi non solo per salire sulle cattedre o sulle predelle delle università e delle aule, ma quando andava al capezzale di qualche morente, per portargli i sacramenti… perché qualcuno voleva solo lui. È stato come un “buon parroco di campagna” quando ha ricordato ai disperati la speranza ed richiamato al sensi di giustizia coloro che parevano titanicamente voler competere con Dio a danno di altri.
È stato come “buon parroco di campagna” obbediente ai superiori, quando, atteso per grandi eventi, con semplicità rispondeva: “ non ho l’ obbedienza per venire!”.
È stato come “buon parroco di campagna” quando ha risposto alle sollecitazione dei parroci in cura d’ anime per risolvere i “ pasticci” delle loro parrocchie e dei movimenti che per anni hanno diviso i fedeli!
È stato come “buon parroco di campagna” quando a qualche vescovo, che espressamente chiedeva il suo avallo per qualche decisione già presa… rispondeva pacatamente : “non lo faccia!”. E poi, solo se era stato ascoltato, dava la spiegazione! Ma le spiegazioni, P. Giuseppe le offriva dopo, a posteriori, senza imporle prima, perché alla Logica di Pirola non poteva esservi contrapposizione.
E chi avesse tentato qualche confutazione, anche in ambito accademico, con intenti presuntuosamente dialettici, o autodifensivi, o autocelebrativi… non doveva che attendere le due battute con le quali Padre Giuseppe, con bonomia “smontava” i suoi sofismi.
Come un “buon parroco di campagna” che conosce i suoi parrocchiani, mai pressato dalla fretta, e sempre acuto ed attento, anche con i suoi studenti più eccellenti e qualche volta un po’ “rampanti”, spendeva il suo tempo per dare consigli, per recensire libri, e qualche volte per amore alla Verità della fede, e anche per affermare con sincero affetto: “non accettare quell’ invito, anche se ti lusinga”!
Come “buon parroco di campagna” che da sempre condivide con i suoi compaesani gioie e dolori, P. Giuseppe sapeva accogliere e consolare, riconciliare e ammonire! Chi? Tutti! Ogni persona! Non poche volte gli ho condotto personalmente – nel parlatoio del nostro , qui in campagna, o nell’ urbe – grandi dame o illustri signori che bramavano il consiglio e desideravano l’ anonimato! Teste coronate e politici in incognito! Ed altre volte come un “buon parroco di campagna” ha letto le loro lettere e mi ha fatto rispondere in modo cristallinamente cristiano e caritatevolmente vero!
Perché amerei che fosse definito in modo elogiativo – ed ancora contante glosse ed altrettanti esempi – un come “buon parroco di campagna”? Perché P. Giuseppe ben sapeva ciò che la Chiesa intende per “servizio di governo” e per “magistero”! Si sa che – ed è pleonastico che ricordi, ma lo faccio – che il ministero pastorale comprende e precede e motiva quello magisteriale! Senza ardire paragoni, e senza sminuire alcun altro, P. Giuseppe sapeva star bene con tutti e rendeva agevole ogni conversazione.
Come un “buon parroco di campagna” sapeva salire con umiltà all’ altare di Dio, come il primo dei peccatori per celebrare e pregare! Come un figlio di Sant’ Ignazio e di san Francesco Saverio – conscio del carisma della Compagnia – viaggiava in treno e si spendeva per tutti, per zelo missionario, e non per essere applaudito alla fine della conferenza! Era umilmente conscio dei doni di Grazia e di intelletto che Dio gli aveva dato, e della sua istruzione faceva un mezzo per raggiungere chiunque! La sua vigile cristiana intelligenza non si soffermava mai nelle rarefatte ed asettiche atmosfere delle luminose biblioteche, ma varcava la soglia del mondo delle anime! Stava bene in ogni luogo: tanto sulla cattedra di un ateneo, quanto sulla panca del refettorio di un ordine mendicante, quanto sulle poltrone Luigi XVI di un principesco salotto!
È di Lui, di P. Giuseppe Pirola SJ, che ho scritto. E, in sincerità davanti a Dio, diversamente sarei un mentitore, posso dire che pur non avendo mai avuto canonicamente l’ ufficio della “cura d’ anime” come un “buon parroco di campagna”, per la Gloria di Dio – che suppone l’ amore alla Verità portata dal Logos incarnato ed alla Chiesa ( e ricordava che ministero vuol dire servizio e deriva da minus, piccolo), per ministero sacerdotale P. Giuseppe Pirola SJ – ossequiente alla Divina Provvidenza – ha fatto molto di più di quel che abitualmente può fare un “buon parroco di campagna”. Potrei terminare con la celebre discriminante “dixit sine iniuria verbo”… ma a un anno dalla Sua morte, dico ancora: “Grazie Giuseppe: mi hai insegnato a credere pensando, ed a pensare da credente! Prega per me!
In Cristo sempre Tuo dev.mo fra Marco Cremona, 4 febbraio 2011.